martedì 18 maggio 2010

Monomania

Mi consumo su di lei
dolce satira fluttuante nella mente
trasportami in te
malefica sensualità
dea, madre degli inferi.

Fragilità morbida
sradicata da avvolgenti mani
Mi provochi, atterri.
Fertilità sfavillante
esplodi in un solo colore
e precipiti accesa.
Rosso.

giovedì 13 maggio 2010

Sogni Visionari

Avvolta da bagliore nero
Più forte più lento s'innalza il petto
vanità celata tra i ventricoli deliranti
Mi manca il fiato.

Scende su di me
e sempre
come ossessione demoniaca
mi sento strozzata
omniescienza psichica
di un incubo desiderato.

Mento di me,
e di te visione di un pianto di sangue.

Vampiria

Ritorna a corrente alternata
di notte rapisce membra sanguinanti
Non temo la luce del giorno
attanaglio il buio nella notte
sciogli la croce sulla mia fronte
bruciami pure sulle palpebre il giorno
un solo paletto soffochi l'emozione immorale
e l'illusione amnesiaca sbrani la pace

la vita morta in sogno

Presso il meriggio stava lavando al fiume le sue vesti, le profumava con rose bianche così riacquistavano il loro originale candore. Una figura, tuffandosi dall’alto di un albero a picco sulle acque, interrompe le gesta della sua fredda quotidianità, ecco, la meraviglia di una creatura che sorge, una suggestione ammaliante che le destabilizza le membra. Come una visione di terre scomparse, come ricordi di fuochi nella notte, come astri, interrogati da astragali sibillini. D'improvviso si volta, è nuda, capelli castani bagnati lungo la schiena ambrata, occhi neri penetranti ed il dharma sul cuore. La paura incalzante la spinge per terra, crocifigge al sole lo sguardo di Efrem che cade con i piedi nel fango, perde i sensi. Sollevandosi apre gli occhi, con immenso stupore si abbandona tra queste sconosciute braccia, si ritrova nel suo letto, i piedi ancora sporchi ma una corona di orchidee intorno. Un calice con nettare di miele e vino  è accanto al giaciglio, il dolce e l’amaro, al risveglio un singolare connubio. Alida era andata via, ma sulla terra il disegno dei loro corpi stretti nell'intimo abbraccio. Beve tutto d'un fiato l'intera coppa, si distendendosi e giace tra i ricordi scivola in un tiepido sonno. Cadendo nel fiume aveva battuto la testa contro una pietra del fondale, quest’ultima l’aveva colpita in un punto che provoca uno stordimento come da oppio, una sorta di attraente ozio da cui nessuno sa quando sarà il ritorno, ne conosce quale sia il viaggio durante questo sconosciuto riposo. Il corpo le si era accovacciato tra alcune rocce e la testa aveva trovato un’insenatura che le permetteva di rimanere fuori dal torrente, così continuò a respirare mentre era assopita e le acque le cullavano il corpo. Si ritrovo davanti ad una strana figura, una via di mezzo tra un uomo ed un pupazzo con sembianze ferine.
Si strofinò gli occhi per mettere a fuoco l’immagine che le si mostrava davanti, e con stupore si accorse che non era una visione sfocata, bensì quello che vedeva era davvero un essere indefinibile. Le orecchie ed i piedi di lepre, un capello ed una pistola da militare, le mani, le braccia il busto e le gambe da uomo, mentre il viso assomigliava a quello di un gatto, un essere cosi orripilante ma così buffo da far tenerezza e non incutere timore. Non per l'ultimo la cosa più insolita erano i fiori che fuoriuscivano senza sosta dal cappello e dalla pistola.
Con sorpresa Efrem gli chiese :”chi sei”? Il buffo guerriero-pupazzo rispose :” Ciao, sono il soldato-fantoccio dei fiori, ben arrivata, spero che tu abbia fatto buon viaggio. Dai tirati su, è tardi il cammino è ancora lungo ed appena iniziato, non vuoi mica fermarti adesso?!”.
Efrem era confusa, si sentiva come persa nella nebbia, non sapeva cosa fare nè cosa domandare a se stessa, allora disse al suo interlocutore:”viaggio?
fermarmi? andare? ma dove? io non so nulla, non so dove mi trovo, perché sono arrivata qui, non ho idea di come ci sia giunta e ancor meno so cosa o chi sei tu!”.
Il ridicolo combattente rispose sorridendo :” Ti ho già detto chi sono, il soldato-fantoccio dei fiori. Non farmi tutte queste domande, non so risponderti sono solo un’immagine favolosa io. Quanto siete grigi voi umani, volete sapere anche quando non c’è nulla da spiegare, chissà perché, ma sta tranquilla e seguimi, vedrai, troveremo quello che cerchi”.
Efrem era ancora più dubbiosa, non si era mai lasciata guidare da nessuno fino a quel momento, ma sentì qualcosa dentro che la spingeva a seguire quella buffa creazione della fantasia, un’irrefrenabile voglia di lasciarsi andare al cambiamento, e così iniziarono a camminare.
La strada che percorrevano non era impervia, il soldato-fantoccio dei fiori camminava davanti ad a lei che lo seguiva esattamente con gli stessi passi. Era un percorso difficile, pieno di pietre aguzze, rovi irti e con delle zolle di prato verde lucente. Erano come quei prati in cui ti viene voglia di correre a piedi nudi senza più fermarti e che sotto l’epidermide sono soffici come un lieve vento nelle notti d’estate, ma a calpestarli questi, erano un po' diversi, la pelle ne avvertiva una strana sensazione, come scivolare sulle sabbie mobili ma senza restarne inghiottiti, erano risucchianti e subito dopo riluttanti. Efrem continuava a camminare scalza eppure non aveva nessun taglio, neanche un solo graffio, sembrava che nulla, nonostante camminasse anche oltre le zolle di prato, potesse ferirla. Il soldato-fantoccio dei fiori si voltò e le chiese :”hai fame?
Lei rispose :”no, ma ho molta sete, avresti dell’acqua?”. Il militare mezzo uomo mezzo animale disse :”è giunta l’ora di fermarsi un attimo”. Cosi su una zolla verde apparve d’improvviso una tavola imbastita di ogni cibo e bevanda. Adesso Efrem aveva solo l’imbarazzo della scelta, aveva sete e vi erano innumerevoli bicchieri da cui poter attingere. Fu attratta da quello che emanava un particolare chiarore, un bicchiere di latte ma luminosissimo, di luce quasi irreale. Era un latte bianchissimo, di una purezza mai vista, ed il sapore era leggero di una delicatezza sconosciuta. Inizio a bere lentamente e si sentiva sempre più pulita, scendeva come una dolce melassa e la dissetava come acqua fresca. Quando sentì che stava quasi per dissetarsi si trasse per osservare il liquido che le iniettava tanta pace e si accorse che era diventato di un colore rosso, accesso, color sangue. Il contenuto del calice tra le sue mani adesso straboccava, seppur ne avesse bevuto quasi tutta la capienza, continuava a fuoriuscire, ansiosamente provo a bere nuovamente nel tentativo di fermarlo, ma più ne aveva bevuto più s’intingeva di rosso, si era macchiata sulle vesti, sulle mani, sul viso, e scorreva come un fiume dal bicchiere aumentandone l’ampiezza della foce. Spaventata gettò la coppa, ne seguì il corso con lo sguardo, il latte ormai rosso scivolo fuori dal calice quasi subito, inondando un’intera zolla verde, così anche quest’ultima divenne color sangue iniziando però a creare una particolare forma con delle linee bianche, quando tutti i tratti furono congiunti Efrem riconobbe il volto di Alida, così urlando svenne nuovamente. Il soldato-fantoccio dei fiori nell’attesa del suo risveglio si sedette e si mise a mangiare dei biscotti.
Quando rinvenne era ancora una volta stordita, stessa immagine davanti ai suoi occhi, ma una calma insolita danzava sul suo cuore, scorse una porta tra le zolle, una porta senza pareti intorno e senza serratura, eppure lei ne aveva la chiave, la ritrova sbalordita tra le sue mani, così sempre aprire nessuna serratura ,entra dalla porta e muove i passi uno dietro l’altro con fatica, si sente stanchissima, si trascina eppure non riesce a fermarsi, raggiunge il centro e poi volge lo sguardo a sinistra, dove un immagine la colpiscd al petto senza sbagliare bersaglio. Si siede, le sue mani avvolgono le trasparenti dita di un sogno che è appena svanito, sente quasi un calore che le accarezza, una lacrima le sfiora, di colpo le sue mani diventano gelide, da reali assenti, quasi non le vede più, si dissolvono nella loro amata essenza bianca. Era un'immagine troppo pura per restare, troppo lucente, accecante, per ricucirla senza le mani, la sofferenza e l'amore insieme, un'immagine che colpendola le cancella le mani e non può più afferrarla. Distende il viso sul legno marmoreo ardente di nere panche che le sono comparse di fianco, si lascia andare alla solitudine, alla confusione, di nuovo Efrem, dispersa che non sa dove andare, dietro l’incanto di un viso lacerato, di una donna incapace di amare. La profondità e l'ombra del buio e della luce di un essere che si sta dilaniando. I fiori dal capello del fantoccio-soldato dei fiori cessarono di uscire ed il sangue si raccolse tutto dentro la pistola come risucchiato dalla canna, i biscotti che teneva in mano caddero per terra ed egli morì come se qualcuno gli avesse succhiato via l’anima in un istante.