Samsara, queste tue linee hanno un profumo sconosciuto, nuovo.
Tra ignara fantasia ed intrepido turbamento incontro te, e ho più paura di quanto dica e creda per conoscere me.
Da dove iniziamo? Dove andiamo? Io e te. Cosa ancora non so? Mi sembra di correre lenta.
Scrivo e sono ferma, qui potrei ascoltare la mia voce che mi dice : “ non pensare, e poi stai, senti”.
Le parole sono iperboliche, spesso incosapevolmente fraintendibili, con noi che siamo in continuo cambiamento. La tua voce mi ripete sempre : “tu pensi troppo, per poi dire troppo”.
Queste tue parole possono comportare qualcosa che non so, e questo mistero attraente mi rende rigida e superficialmente distante, trovano, più profondamente, un tranquillo piacere sulla tenera carta.
Le mani cosa dicono? I movimenti del corpo? Il mio, il tuo. Comprendo che si può raccontare senza una coscia volontà di farlo. Questi nostri corpi non si mentono senza emissione vocale.
Samsara, donna d’aria, che sei strozzata in aliti urlanti, posseduta da radici perdute, sfiorata da foglie strappate e indossatrice di vesti mai toccate, hai sul viso una dolcezza che mi brucia, congiunta ad una pena in cui rifletto me stessa e non riesco più a consegnarti che parole nascoste.
I germogli del dubbio mi tirano, ormai oltre il freno.
C’è un alone di confusione che mi pervade mentre cammino, una pesantezza leggera che mi distrugge il senso della perdita.
Per troppo tempo stanca e ancora sono immobile, seppur il cuore e la mente sbattono formando un flipper tra le orecchie e le dita, dalla base della tua velocità all’arrivo della tua assenza.
Temo di non avere troppa attenzione nel lancio di partenza ed il rischio è che l’altezza del petto sinistro vada in buca la palla.
Gli stimoli non smuovono la pelle di un centimetro, forse sono schiava dell’abitudine più di quanto pensi, forse un peter pan si è bloccato nella timida fantasia, radicato fermamente nella decisione di non crescere.
Samsara, che vorresti superare quel senso di ridicolo che ostacola i tuoi conttatti, che ti autonega l’incontro della vita, che vorresti oltrepassare il tuo Io ma non sei disposta a pagare il prezzo d’ uscita dalla trappola dell’involucro in cui sei avvolta, Samsara, non conosci il valore del tuo nome?
Passare da una maschera all’altra, un attimo subitaneamente dimenticato dalla nuova scansione del secondo, Samsara, allora conosci il valore della meccanica?
Tu credi che il tempo dell’aridità metta radici, ma sei una donna d’aria e non ho mai visto crescere degli alberi a chioma in giù.
Samsara, che non conosci il valore del tuo nome, eppure d’affetto i tuoi sensi culla, senza che tu sappia del loro dormire.
Samsara, se potessi fissare lo sguardo sulle coccole, che durante il sonno, gli occhi senza vedere gli occhi non smettono d’immaginare, tu Samsara, guarderesti la faccia dell’inibizione che sottratta al rossore e sfuggita ai nervi disvela la sua mancata bellezza.
Tra ignara fantasia ed intrepido turbamento incontro te, e ho più paura di quanto dica e creda per conoscere me.
Da dove iniziamo? Dove andiamo? Io e te. Cosa ancora non so? Mi sembra di correre lenta.
Scrivo e sono ferma, qui potrei ascoltare la mia voce che mi dice : “ non pensare, e poi stai, senti”.
Le parole sono iperboliche, spesso incosapevolmente fraintendibili, con noi che siamo in continuo cambiamento. La tua voce mi ripete sempre : “tu pensi troppo, per poi dire troppo”.
Queste tue parole possono comportare qualcosa che non so, e questo mistero attraente mi rende rigida e superficialmente distante, trovano, più profondamente, un tranquillo piacere sulla tenera carta.
Le mani cosa dicono? I movimenti del corpo? Il mio, il tuo. Comprendo che si può raccontare senza una coscia volontà di farlo. Questi nostri corpi non si mentono senza emissione vocale.
Samsara, donna d’aria, che sei strozzata in aliti urlanti, posseduta da radici perdute, sfiorata da foglie strappate e indossatrice di vesti mai toccate, hai sul viso una dolcezza che mi brucia, congiunta ad una pena in cui rifletto me stessa e non riesco più a consegnarti che parole nascoste.
I germogli del dubbio mi tirano, ormai oltre il freno.
C’è un alone di confusione che mi pervade mentre cammino, una pesantezza leggera che mi distrugge il senso della perdita.
Per troppo tempo stanca e ancora sono immobile, seppur il cuore e la mente sbattono formando un flipper tra le orecchie e le dita, dalla base della tua velocità all’arrivo della tua assenza.
Temo di non avere troppa attenzione nel lancio di partenza ed il rischio è che l’altezza del petto sinistro vada in buca la palla.
Gli stimoli non smuovono la pelle di un centimetro, forse sono schiava dell’abitudine più di quanto pensi, forse un peter pan si è bloccato nella timida fantasia, radicato fermamente nella decisione di non crescere.
Samsara, che vorresti superare quel senso di ridicolo che ostacola i tuoi conttatti, che ti autonega l’incontro della vita, che vorresti oltrepassare il tuo Io ma non sei disposta a pagare il prezzo d’ uscita dalla trappola dell’involucro in cui sei avvolta, Samsara, non conosci il valore del tuo nome?
Passare da una maschera all’altra, un attimo subitaneamente dimenticato dalla nuova scansione del secondo, Samsara, allora conosci il valore della meccanica?
Tu credi che il tempo dell’aridità metta radici, ma sei una donna d’aria e non ho mai visto crescere degli alberi a chioma in giù.
Samsara, che non conosci il valore del tuo nome, eppure d’affetto i tuoi sensi culla, senza che tu sappia del loro dormire.
Samsara, se potessi fissare lo sguardo sulle coccole, che durante il sonno, gli occhi senza vedere gli occhi non smettono d’immaginare, tu Samsara, guarderesti la faccia dell’inibizione che sottratta al rossore e sfuggita ai nervi disvela la sua mancata bellezza.
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